Crisi di governo italiana: i possibili scenari
Con la fiducia strappata al Senato grazie all’astensione del gruppo di Italia Viva, il governo Conte rimane pienamente in carica e formalmente la crisi di governo può dirsi conclusa.
Tuttavia, parlamentari di lungo corso hanno notato – e lo stesso Presidente del Consiglio lo ha riconosciuto nel suo discorso – che è praticamente impossibile governare con la sola maggioranza relativa in una delle due Camere senza estenuanti trattative su ogni materia con i rappresentanti dell’opposizione.
Lo status quo si tradurrebbe quindi, se non in una paralisi, in un consistente rallentamento dell’azione di governo e per questo motivo nelle prossime settimane assisteremo verosimilmente a tentativi di portare il governo a riconquistare la maggioranza assoluta al Senato.
Lo scenario più probabile è l’appoggio da parte di qualche senatore dei gruppi moderati che siedono in Parlamento – Forza Italia, UDC o la stessa Italia Viva – oppure di componenti appartenenti al Gruppo Misto; si tratterebbe tuttavia di una maggioranza risicata sul piano numerico, che lascerebbe il governo più debole rispetto a prima ma anche privo di una reale alternativa politica.
Meno probabile è una ricucitura dello strappo tra Conte e Renzi, visto l’appoggio che sul tema il Presidente del Consiglio è riuscito ad ottenere da M5S e dal PD, ma un riavvicinamento potrebbe rendersi necessario qualora non si trovassero i numeri per la prima opzione.
Infine, lo scenario a questo punto più difficile da ipotizzare è la riapertura di una crisi vera e propria con le dimissioni di Conte: il Presidente del Consiglio sa che a questo punto si aprirebbero tutte le possibilità ma difficilmente riuscirebbe a rimanere alla guida del governo per cui proverà ad evitare questa direzione degli eventi.
Se non è semplice decifrare i possibili sbocchi della crisi, non lo è neppure comprendere appieno da cosa è stata originata. Secondo quanto riportano gli organi di stampa, quattro sarebbero i punti di attrito tra Conte e Renzi che hanno determinato la rottura del patto di governo da parte di quest’ultimo:
–gestione della lotta alla pandemia
–delega ai servizi segreti rivendicata dal Presidente del Consiglio
–mancata richiesta di accesso al MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, per attingere fondi per la sanità
–piano italiano per partecipare al programma NextGenerationEU (NGE), il pacchetto di stimolo pluriennale con il quale la Commissione Europea intende finanziare la ripresa post-pandemia.
Vale la pena soffermarsi in particolare su quest’ultimo punto, anche per le implicazioni che può avere in termini di allocazione degli investimenti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), recentemente approvato dal Governo e che racchiude le richieste che l’Italia intende sottoporre all’Europa nell’ambito di NGE, non è stato esente da critiche, al di là degli appunti mossi da Italia Viva.
È stato infatti osservato che il programma italiano risulta abbastanza vago e scarsamente dettagliato sul piano numerico, mentre il meccanismo di erogazione dei fondi che caratterizza NGE non solo prevede la corresponsione dopo la realizzazione dei progetti previsti, ma anche dopo che si sono verificate le conseguenze attese di tali progetti in termini di miglioramento di determinate grandezze economiche.
Ad esempio, l’erogazione dei fondi può essere legata non solo alla realizzazione di un certo numero di asili nido previsti dal programma, ma anche all’incremento di – poniamo – occupazione femminile che si intende raggiungere con tale investimento.
Diventa pertanto cruciale identificare attentamente obiettivi e investimenti, pena la perdita dei finanziamenti promessi: su questo punto, a detta di molti esperti, il PNRR è un po’ lacunoso e necessiterà probabilmente di modifiche in dialogo con l’UE, dialogo che richiederebbe un governo forte e coeso, magari disposto a recepire nella stesura delle eventuali modifiche al programma le istanze del mondo produttivo e della società italiana tutta.
Per quanto riguarda gli impatti della crisi sui mercati finanziari, per ora sono risultati poco rilevanti: lo spread tra i rendimenti decennali di BTP e Bund tedeschi è leggermente salito verso la metà di gennaio per ridiscendere ai livelli di inizio anno dopo il voto di fiducia del Parlamento, identico percorso ha fatto registrare il tasso swap quinquennale sul debito italiano e il mercato azionario ha mostrato un andamento sostanzialmente in linea con quello dell’indice dell’area euro. Ciò significa che “l’ombrello” della BCE sui nostri titoli di stato continua a proteggere gli investimenti dalla volatilità e che tutto sommato non si registrano grosse preoccupazioni sui mercati.
D’altro canto, buona parte della stampa estera, nel dar conto dell’esito della votazione di fiducia, ha sottolineato l’indebolimento del governo che non può reggersi su voti dei senatori a vita o raccolti estemporaneamente, per cui il quadro politico italiano è oggi probabilmente visto più a rischio di qualche settimana fa, ma non in maniera tale da impattare significativamente sulle scelte di investimento.